giovedì 18 aprile 2013

Giovedì di pesce



Ho odiato le complicazioni fin nelle mutande e
mi allontano dai miei capelli per poterne osservare la sezione con i tagli compagni delle unghie.

Ma dove sono le mie pile? Dove sono dico io?
Devo averle messe nel primo cassetto e poi al loro posto.
Impavide e scarse non la smettono di agire nemmeno su minaccia.
A che cazzo ti servono delle pile non intelligenti? A non ascoltarti
quando dici asperità incomprensibili! Ecco a cosa servono bambina dei cardi nelle ginocchia.

Ma le vorrei togliere. Allora taccio,
tattica affinata amabilmente () per anni, ma la polveriera si gonfia,
si avvicina pericolosamente al fuoco che già corre verso di lei.

Zic, zac, una lama e un pezzo di legno, una lisca di stoffa e...
bum. Senza suoni eh, sia chiaro, sia ovvio.
Sbigottita che tutte le sue paure sembrino e siano così reali.

Polverizzare...mi avevi promesso che non l'avresti più fatto,
che ti eri stancata. A cosa puoi credere se sei la prima a fallire,
a restare permeata dal muro e i suoi sassi che metti tu,
perchè tu sei pericolosa, tu sei maligna, tu sei ignorante,
impotente, artefice della disgregazione di te.

Che non conti.
Niente.

Agli occhi, alle mani.
Non conti, non leggi, non scrivi,
non respiri. Ecco, fai il favore di provare seriamente,
e dico seriamente, a fare questo. Esci dal timore e
abbi il coraggio dell'incubo,
il brivido che conosci bene, che ti annoia perfino.

La tua fiducia è stata tagliata,
le hai dato troppa importanza, non è tutto cara.
Una grande parte, questo sì ma non certo l'universo.
Uni – verso, uni – vero.

Sto parlando a un muro, con le finestre
e oltre le tende gialle c'è un altro muro,
perché della potenza non sai cosa fartene
che non sia un brutto e inestimabile vestito,
pensato contro, liquido, malleabile,
sempre pronto e mai in letargo,
accoccolato alla luce di quaresima, di incenso,
di ulivo secco.

La verità è che mi han rubato l'ipotalamo,
l'ipofisi e le chiavi di casa e mi hanno raccontato che era perché la sera
prima avevano scordato le scarpe con le stringhe dentro la zuccheriera lì,
sul tavolo.
Io così mi sfogo signora,
in questo silenzio salato,
tu che sei cieca e io che ti fisso.
Le do fastidio signora? Le do fastidio?
Mi scusi, ma consumo qualsiasi cosa tocco,
anche il cono d'aria che emetto corrode le mie stesse labbra.
Ho le zampe addormentate, prudono.
Le schiaccio ma non funziona. O sì funziona.

Penso
Penso che la tua gabbia sia infallibile.
Sia splendida e sincera, bugie miraggio incluse,
che ti sbagli, sei velenosa, un aspide retrattile,
dal centro della mano,
si staglia sforbicia a boomerang.

L'ipofisi te l'ho rubata io,
quelli erano solo ruote staccate dalla fine del carro.

Ho provato ma ho fallito.
E adesso passami una zampa che provo a schiacciartela un po'.





giovedì 24 gennaio 2013

In nomine

Una minuscola larva che si agita mesta e non porta a niente.

Costante mentore di dolore inesploso al confine. 
Vene gonfie, occhi spessi, reni d'odio, semi muffiti.

Orecchie turgide, bruxismo educato.

Noli (...) tangere.












Tanto spazio
lontano dai suoni.

Atonalità insperata, pericolosa.

Destata dalla speranza obitoriale e recondita 
che tutto possa essere corretto, rifatto.
Non gli stinchi.
Ogni piccolo anacoluto di movimento
che caracolla in un urto 
viene memorizzato inesorabile e plana sull'osso.
Diventiamo grandi pettini ambulanti
più lunghi i denti, più profondi gli spazi sondati 
e infami da svecchiare.

E adesso, che ho tutto,
non basta perché voglio cambiare le regole 
e l'altro partecipante è troppo potente.

Un delirio silenzioso.
Le coperte precise attorno,
al buio.


mercoledì 19 settembre 2012

Infeltrire

Fa freddo e c'é poco spazio,
l'opposto di ora, in cui c'è troppo del contrario,
ma solo fuori.

L'impalcatura filamentosa raggrinzisce pomodori cenerini
un rosso funereo.

Confondo i numeri ma non le case,
i tempi ma non le pelli
e i denti, tutti insieme nel catino di unghie,
tutti senza più carezze di legno apparente.

Se sento questo stuono li perdo tutti, 
bruxismo gengivale,
una larva coi capelli,
col sonno di pomice blu.

Riconosco il seguace di un opilione familiare,
successore
di un vanitoso in una bolla piena di rugiada.

Corre sulla pancia gonfia di mia nebbia,
scontenta

Le dita dei piedi piccoli piselli
ambiente, tondi e tagliati
nel mezzo.

Una carezza avorio nella placenta.

Ho sempre più caldo.

senza una casa

si impara a catturare i raggi.

Non aspetto più niente.

ronzano le punte dei capelli
lancette dei primi e delle ciglia
dei secondi.

giovedì 21 giugno 2012

La zappa di cotone

Mi arrampico al contrario sempre meno
da quando il mio naso si è fatto più largo.
Ha la voce alta lui, anche troppo ed è una bella voce.
Ha un tono imperioso,
a cui il cervello non può rinunciare
il resto gli ha sempre obbedito.

Intere sfoglie di pelle grattata si seccano al sole.

Sono seppie, con l'inchiostro che zampilla
vivo
soffocato dalla protezione pellicolare
di un ventricolo fin troppo schiuso.

La cecità l'ho persa in viaggio, 
una svista saggia, fondamentalmente ponderata
non come la sfiducia, ignorata da sempre.


Non puoi avere quello che chiedi sta volta è una frase che mi riguarda solo in parte,
un riflesso mobile.

(Ti ho lasciato la mano solo per poco stomaco,
visto che sono tornata?
Mi chiami e io ti ignoro
sono spontanea nella finzionema,
ormai sai che torno sempre da te.
commercialista attento dei miei movimenti,
crudele esattore mattutino)


(Alterchi al piede veloce,
una volta libero sfonda muri
non aspetta più.

Non SI aspettava prima
nemmeno ora.

Controllo solo la serratura del cancelletto.
Sta dietro la cascata della retina,
protetto dai bulbi.

C'è da riassettare.

Gli invitati hanno fatto troppo fracasso.
E' ora di tornare a potare da sola.

In un giorno orale si sono seccati germogli fino alla terza generazione.

Perdonami orto,
conosco la tua comprensione
ma so che fà piacere sentire la verità
anche se poco in là è a capofitto,
muore secca in una fenditura rocciosa a strapiombo.)

domenica 6 maggio 2012

Un albero grande e trasparente come il mondo sporco

Sospensione entropica di molecole su piatti volanti insospesi.

Alle armi con dei gerani mi spavento dei macropeli.

E' tutto nuovo tra le scaglie del riso che spalmo sul bordo del piatto.

La planata della novità.
Il guaio dell'intelletto vinto dall' esperienza non ancora solidale alle superfici dense.

Dei coriandoli eventualmente sopra la carta rilasciano aloni di colore.
E se perdo tutto
resta un fiocco leggero
l'esoscheletro di ciò che mi ha sfiancata.

Se sdraiando delle foglie di aloe non ho foderato nessuna parte del mio cervello,
nessun cassetto recondito nelle capillarità dell'impasto cartaceo,

posso tranquillamente dire di non aver soffocato nulla di importante
ma nemmeno di aver messo delle sequoie attorno che levassero l'aria e la luce.

Le ombre aiutano a giocare ma non fanno asciugare i panni.

A cavallo di ippocampi
nuvole ai piedi
ovatta in testa.

Le gocce si nebulizzano prima di arrivare al suolo
e sublimano la giugulare in una carota avvenente.

Ho tagliato le palpebre alle talpe,
hanno ruote oliate zampe e unghie
e cieli di triangoli e trapezi verdi.
Quadrifogli con l'ultimo pezzo a forma di cavolo - pecora.

Un lupo,
pelo di aghi,
appesi.

E' natale e non lo sapevo,
gli esseri appesi si parlano con gli odori.

Sali.

venerdì 2 marzo 2012

No other way cut off your legs*

Io sono questo giorno di silenzio,

la rabbia verso la plastica fusa aggrappata ai fili d'aria.

La provo a nascondere goffamente sotto i cuscini ma ne scende ancora di più,

copiosa e gravida di sciogliersi.


Le dita in scala di grigio intorpidite

follia che si impossessa

di


occhi concreti che redarguiscono,

vorrebbero proteggere fagocitando le vene.


Non è nemmeno più una lotta

sconto due condanne insieme

cercate all'osso e all'aria,


più di questo?


Temporaneamente cieca e morbida stavo meglio

che cartina al tornasole cingolata.


Le nuvole scoprono il mio globo blu

la radioattività imponderabile

manuale di estrusioni musicali


Un po' di mucosa scoperta

tra un pezzo e l'altro delle protezioni

è il termine di paragone del valore,

il nastro setificato per un gatto senza unghie.

Le ha perse sognando,

le ha espulse ritraendole

e invisibili penetrano le guance rosee a distanza di chilometri

e ti indebolirai

e senza accorgertene

finirai per terra,

ti sgonfierai,

resterai buccia

marcia

per meno tempo di uno sbadiglio.


La notte non pulisce il velluto delle interiora

e l'oggetto frantumato è rimasto

dentro,

qui

ha fatto tetto

e non aspetta paziente asportazioni.

E' solo cuneo

spigolato.

venerdì 2 dicembre 2011

Ematocrito

La diaspora degli stami nel latte.

In sospensione aerea pulviscolo di ghiaia.

Le ore colano, il gastro freme di pigrizia e noia morta primordiale della giornata.

Oggi la spugna è il nome del martedì.
Se mi sdraiassero su un tavolo.
Mi sdraierai su un tavolo,solo quando lo dirò io.
Stracci disattento nella banalità in cui precipiti il velo che hai adorato mentendo non in sincerità lineare ma sulle profondità a cui si avventura la tua lama personale.

Salire le scale convulsamenteescher è lì a fare il geometra e bosch trapani diaboliciclaustrofobici,battaglieri.

Mi ci faccio la lama dei pattiniscorrere sul lago di polvere congelata,microdiamanti che soffiano che non conoscono le metropoli meridionali delle gocce.

Quel male lieve che ti avvolge aereo le caviglie.
Leggero lui,pesante tu.

Fammi scrivere ti prego tempo,lasciami toccare,permettere.
Non sputo in faccia a nessuno, promesso.

Inspiro a lungo due sole volte.Mi esplodono gil occhi in ghiaia rosso cina lacca.Vaticana,imperiosa,liscia.
Ogni granulosità raccolta in piccole sfere lucenti lubrifiche.Secche.

In ginocchio non mi metto, no nemmeno di nascosto,nemmeno con le frecce,i pugnali,le baionette.Scendo, salgo, spando,tutto da ferma.Solo in freddo bianco impune lo può faremi può vincere,sfilarmi la biancheria e rimetterla dopo il suo passaggio.

entro,firmo,sorrido educata in plexiglas elasticoe ti aspetto ancora. Amen