mercoledì 23 marzo 2011

pluriball

Come la sorpresa giusta nell'uovo pasquale
le soddisfazioni ai bisogni più reconditi arrivano sempre tardi.
Ed ecco, sul palcoscenico, alcune piume a terra.
Leggere e appiccicose di fumo e sudore rappreso.
Un liquido che spoglia dalla signorìa anche il tempo,
tutto quest'odio a 90 gradi, seguito da tutti i suoi multipli per te,
che non vali niente ormai,
tranne che come testimonianza ambulante che ho sbagliato
e di molto.

Nella migliore delle tradizioni ti auguro
il peggio,
dalla pipì di un brontosauro sulle stringhe
a che i tuoi cari ti vedano veramente bene per
il rifiuto che sei,
che solo l'alcol ogni tanto si degna di cancellarti dallo specchio
salvo poi lucidartelo e rendere tutto più evidente poche ore dopo.

Se fossi neve mi rifiuterei di sciogliermi su di te,
e tuttavia non è uno spreco di tempo parlarti
e allontanarti
perchè son proprio i tarli più pidocchiosi a far crollare
i capolavori dell'intaglio,
lasciandone volgare segatura
grossolana anche per rinfrescare un pavimento grezzo.

Solo ora sono sbocciati questi aculei trattenuti gelosamente nella cera,
saldi su piccole tavolette d'odio,
tenute strette in caso di una guerra che decisamente si aspettava nemici più degni
e non tanto meschini come ogni tuo bulbo.

Ti auguro, sempre per non tradire l'uso,
di soffrire, senza gloria,
come solo a te riesce bene.
Solo a te nel giro di trenta metri,
perchè la tua finitezza non è affatto rara,
e incontrarti sarebbe stato anche più facile avessi abbassato la
guardia altre volte.
Diversi occhi, diversa noia,
stesso senso di perdita, in tempo ed energia.

Perchè spero proprio che tu sanguini
e che non ti si rimargini nulla,
mai
che impari sul serio cosa significa
essere crivellati freddo, senza soffitti da fissare
per avere risposte;

che la tua ignoranza ti invada,
che ti accorga che il righello per misurarti,
nella sua pochezza
ha crudelmente ragione,
e subito dopo che veda che i decametri altrui
riposano tra gatti di polvere,
perchè non ci si gioca più.

Terra da non calpestare costellata di mine.
Mi ci hai fatto camminare senza nemmeno goderti lo spettacolo nè del mio culo
nè della mia sofferenza.

Perfino il tuo odore odio,
nemmeno il tuo sesso ricordo chiaramente
che poi hai fatto sempre da solo
chè nel tuo universo
uovo
ci stavi scomodo solo
e in due era anche peggio,
e in fondo ti piaceva.
come ricordarmi nonostante tutto sana
perchè zingarelli della personalità altrui
mi hai spalmato sopra tutto il tuo sapere ignorante
nei miei riguardi senza conoscere nemmeno
la mia marca preferita di sigarette.

Dovrebbero rilasciarti la carta d'identità nella sabbia,
sul bagnasciuga, per non riuscire a finire di scriverlo il tuo bellissimo nome
raramente indossato tanto male.

Ti sei sempre consolato guardando le mie cicatrici
e mettendomi dalla parte degli irrisolti, problematici,
promuovendomi così tra i più interessanti,
chiaramente senza volerlo,
troppo impegnato a starnazzare marrone sull'azzurro evidente
a tutti i non daltonici alla bellezza,
a chi ride senza far ghigni.

Sei stato il cellophane sul mio divano per mesi,
convinto di interpretare un manto d'ermellino
con cui in effetti hai in comune
epidermide e peli,
senza vita per giunta.

Quando la mia testa ha finito di ruzzolare
giù,
l'ho raccolta senza sbucciarmi le ginocchia
e mi ha rimproverato per il tempo perso senza collo
che nel frattempo si stava dando per vinto.

Ti augurerei ti si seccasse il sangue,
ti morisse in gola il fiato nel momento del sì,
che i tuoi spermatozoi siano refrattari agli ovuli
perchè meriti solo dolore vero,
non il timido inutile fiele che hai in corpo
buono forse per lucidare mobili
e levare lo smalto.

Perchè non esiste un lieto fine,
alla condanna che per te vorrei fosse eterna,
di non morire mai,
ucciso dalla consapevolezza di quel che sei
e che fortunatamente ho assaggiato solo nella parte migliore.

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